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Magna Mater tra Roma e Zama: cooperazione culturale tra Italia e Tunisia |
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Francesca Bianchi
Sarà visitabile fino a mercoledì 5 novembre, presso il Parco archeologico del Colosseo, la mostra Magna Mater tra Roma e Zama,
un progetto espositivo internazionale che intreccia archeologia, mito e
cooperazione culturale tra Italia e Tunisia. Promossa dal Parco
archeologico del Colosseo in collaborazione con l’Institut National du Patrimoine Tunisien, è curata da Alfonsina Russo, Tarek Baccouche, Roberta Alteri, Alessio De Cristofaro e Sondès Douggui-Roux con Patrizio Pensabene, Aura Picchione e Angelica Pujia.
Al centro dell’esposizione è la figura della Magna Mater, la Grande Madre. FtNews ha intervistato il prof. Patrizio Pensabene, che dal 1977 al 2003 ha diretto gli scavi del tempio della Magna Mater
sul Palatino. Dopo aver parlato dell'esposizione allestita al Colosseo,
lo studioso si è soffermato sulle circostanze che determinarono
l'introduzione a Roma del culto di Cibele e sulle caratteristiche che
tale culto assunse nell'Urbe.
Prof. Pensabene, il 5 novembre 2025 chiuderà i battenti la mostra Magna Mater tra Roma e Zama, allestita al Parco archeologico del Colosseo. Come e per iniziativa di quali realtà è nata questa esposizione?
La mostra Magna Mater tra Roma e Zama è un progetto espositivo
internazionale che intreccia archeologia, mito e cooperazione culturale
tra Italia e Tunisia. Promossa dal Parco archeologico del Colosseo in
collaborazione con l’Institut National du Patrimoine Tunisien, è curata
da Alfonsina Russo, Tarek Baccouche, Roberta Alteri, Alessio De
Cristofaro e Sondès Douggui-Roux con Aura Picchione, Angelica Pujia e il
sottoscritto. Al centro dell’esposizione è la figura della Magna Mater –
la Grande Madre – antica divinità dalle molteplici identità (Kubaba, Cibele, Kybele, Meter Theon),
venerata per oltre un millennio in Anatolia, Grecia e Roma. La mostra
ne ripercorre origini e trasformazioni, dal culto frigio all’adozione
ufficiale a Roma nel 204 a.C., quando, secondo il responso dei Libri
Sibillini, la sua immagine aniconica fu trasferita da Pessinunte al
Palatino, divenendo simbolo di salvezza e rigenerazione per l’Urbe.
Come è strutturato il percorso espositivo?
Il percorso espositivo si snoda attraverso sei sedi all’interno del
Parco, offrendo un viaggio immersivo nella storia e nella diffusione del
culto della Magna Mater. Particolarmente significativa è la sezione
allestita nel Tempio di Romolo, che presenta per la prima volta al
pubblico le opere provenienti dagli scavi di Zama Regia, straordinarie
evidenze archeologiche della presenza del culto della Magna Mater
nel Nord Africa romano. La Curia Iulia amplia la prospettiva alle
province dell’Impero, dall’Egitto alle Gallie, dalla Tracia alla
Britannia, con una riflessione sulla diffusione e trasformazione del
culto in epoca tardoantica. Sul Palatino, alle Uccelliere Farnesiane, i
visitatori possono esplorare le radici orientali della dea e la loro
trasmissione nel mondo greco ed ellenistico, con un focus particolare
sul carattere misterico del culto. Il Tempio della Magna Mater ospita
una sezione dedicata all’introduzione del culto a Roma durante la
Seconda guerra punica; questa sezione mette in evidenza i significati
politici e storici dell’evento. Il Ninfeo della Pioggia propone
un’installazione emozionale che restituisce suoni, gesti e simboli della
ritualità romana legata al culto. La mostra si chiude al Museo del Foro
Romano con una selezione di opere d’arte che illustrano la fortuna
iconografica, letteraria e filosofica della dea tra Rinascimento e
Seicento. Al centro della mostra c'è il legame simbolico e religioso tra
il santuario africano e quello romano del Palatino, cuore del culto
della Magna Mater nell’Impero.
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Alla mostra si accompagna un catalogo. Come è strutturato?
Il catalogo presenta per la prima volta al pubblico lo straordinario
ritrovamento del santuario tunisino di Zama dedicato alla Grande Madre
degli Dei e al suo compagno Attis, nel quadro di una più ampia
ricostruzione storica e archeologica incentrata sul culto della dea nel
Mediterraneo, dalle sue origini anatoliche alla fine dell'Impero romano.
Saggi di specialisti internazionali arricchiscono un catalogo di oltre
100 opere di arte antica e moderna, in un racconto che conduce il
lettore nel mondo della Magna Mater alla scoperta di feste, riti, storie
di fede, politica e vita quotidiana.
Professore, dal 1977 al 2003 lei ha diretto gli scavi del tempio della Magna Mater
sul Palatino. Perché il senato romano decise di introdurre il culto di
Cibele a Roma e di costruire il santuario della dea all'interno delle
mura della città, nonostante fosse una divinità "straniera"?
La decisione del senato romano di introdurre il culto di Cibele a Roma
fu sostenuta dalle famiglie più influenti e colte dell'epoca. Verso la
fine del 205 a.C. venne inviata un'ambasceria a Pessinunte, sede di un
santuario-stato al confine tra la Frigia e la Galazia, dove si trovava
il centro principale del culto di Cibele: gli ambasciatori, con la
mediazione del re di Pergamo Attalo I, ottennero una pietra nera
meteoritica, conservata a Pessinunte, che era considerata il simbolo di
Cibele. L'introduzione di Cibele a Roma acquista un importante
significato politico, poiché indica come Roma rivendichi il suo ruolo di
potenza paritaria a quelle orientali. Tant'è vero che torna in auge il
mito dell'origine troiana di Roma, che è connesso con Cibele, in quanto
Enea, quando fuggì da Troia in fiamme con il padre Anchise sulle spalle,
si rifugiò la prima notte nel santuario di Cibele sul monte Ida. Al
momento dell'introduzione del culto di Cibele e della pietra nera si
decise di costruire il santuario della dea all'interno delle mura della
città, addirittura nel luogo più sacro di Roma, il Palatino. Normalmente
i luoghi di culto delle divinità "straniere" introdotte nella città
dovevano per obbligo di legge essere costruiti fuori del pomerio. In
questo caso si fa un'eccezione, perché si considera Cibele come dea
indigena, come dea protettrice del mitico fondatore di Roma e quindi
come protettrice della città stessa.
Perché a un certo punto si avvertì l'esigenza di un nuovo luogo di
culto metroaco? Dove e in quale contesto storico venne costruito?
Da evidenze archeologiche e da vari indizi nelle fonti si può desumere
che l’età claudia rivesta una particolare importanza per il culto di
Cibele e Attis a Roma: sarebbero stati costruiti allora, nell’area
vaticana, il Frigiano e il Circus Gai, che riproporrebbero il rapporto tra Santuario della Magna Mater sul Palatino e il Circo Massimo, ma all’età claudia rimandano anche la fondazione della festività degli Hilaria,
che si svolgeva sul Palatino, e il potenziamento dei Dendrofori
attraverso una nuova sede sul Celio. Tutto ciò conferma anche
l’importanza che assumono ora ufficialmente il cerimoniale e i riti
connessi direttamente ad Attis. Stando così le cose, bisogna ritenere
che il ruolo della politica religiosa claudia è stato ancora maggiore di
quanto si sia pensato finora, anche nei rispetti del culto metroaco, ma
si può anche ipotizzare che la natura dei riti religiosi richiesti dal
suo evolversi imponevano una sede diversa da quella del Palatino, che
invece era strettamente connessa ai miti di fondazione della città e al
prevalente aspetto di Cibele come divinità salutaris, protettrice
di Roma e, dunque, cinta di corona turrita. Nel famoso rilievo di Villa
Medici, risalente all'età claudia, in cui è riprodotto il Tempio della Magna Mater, la corona turrita poggia sul trono vuoto. Tale raffigurazione è da collegare con il sellisternium,
cioè con la rappresentazione della divinità “assente, ma presente”
tramite il trono su cui doveva sedere. La consapevolezza dell’origine
frigia delle connessioni con il mito troiano non si è mai persa nella
tradizione religiosa romana. Era stata conservata anche la tradizione
misterica del culto, espressa dalla presenza dei coribanti ai lati del
trono vuoto di Villa Medici e di tante altre rappresentazioni di Cibele.
Gli aspetti frigi, e dunque le vicende che connettono Cibele ad Attis,
con la relativa promessa di sussistenza al di là della morte, basilare
per il culto metroaco e per il suo successo anche popolare, rimangono
quindi parti essenziali dei cerimoniali che si svolgevano sul Palatino. A
maggior ragione la necessità del nuovo luogo di culto vaticano deve
essere considerata alla luce dello sviluppo, fin dal suo nascere, di
aspetti che dovevano essere separati da quelli presenti nel santuario
palatino.
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Come evolve il culto metroaco nella Roma imperiale? In particolare, come cambia il ruolo di Attis?
Bisogna considerare che un luogo di culto dedicato alla catarsi
attraverso il rito del taurobolio, quale è il Frigiano del Vaticano,
meglio si accorda ad una accentuazione del ruolo di Attis quale elemento chiave dello sviluppo in senso misterico del cerimoniale, infatti la vicenda di Attis
è sempre più al centro della struttura interpretativa religiosa e
filosofica che viene data al culto metroaco. È la "specializzazione" del
Frigiano vaticano come luogo del taurobolio, ma forse anche –
soprattutto per il II secolo e l’età severiana – come tempio di culto
imperiale, come rivelerebbero analogie con il "Tempio Rotondo" di Ostia,
a differenziarlo sempre più dal Santuario della Magna Mater sul
Palatino; in quest’ultima sede, infatti, gli aspetti della dea legati
alla protezione di Roma e ai suoi miti di fondazione, che appunto ne
determinarono la sua costruzione proprio sul Palatino accanto alla Casa Romuli, coesistono con il carattere sempre più mistico delle cerimonie rituali legate alle vicende di Cibele e Attis, che erano ripercorse durante le festività degli Hilaria.
Cosa sono gli Hilaria. Dove si svolgevano?
Con la denominazione di Hilaria vengono indicate le cerimonie di marzo, celebrate nel I-II secolo a Roma e in altri centri dell’impero in onore di Cibele e Attis, le cui vicende mitiche sono rivissute in un complesso rituale, definibile frigio. Probabilmente la sede degli Hilaria
era il santuario metroaco del Palatino. Gli scavi da me condotti sul
Palatino hanno evidenziato un’importante fase di trasformazione del
santuario proprio nella prima metà del I sec. d.C., quando venne
costituita all’interno della sua area una serie di ambienti di cui
ignoriamo quale fosse l'esatta funzione, ma possiamo ipotizzare
servissero anche come sede di alcuni dei riti che accompagnavano le
cerimonie.
Degli Hilaria facevano parte varie cerimonie nelle quali dominava
la figura di Attis. Alcuni episodi di queste festività rimandano con
una certa sicurezza al loro svolgersi presso il santuario palatino. Ci
si riferisce in particolare alla cerimonia del 22 marzo, quando si
svolgeva la processione dell’Arbor intrat, con il trasporto, da
parte dei Dendrophori, del pino che doveva essere tagliato prima
dell’alba. Il corteo, definito funeris pompa, partiva dal Celio, forse
sede del boschetto sacro di Attis. L’altra importante ricorrenza era
quella del 25 marzo, quando l’effigie di Cibele sul carro, con accanto Attis,
veniva trasportata probabilmente lungo la Via Trionfale, attraverso la
città. La partenza doveva essere dal santuario palatino, come conferma
la presenza anche di Vittoria nella processione, mentre varie tappe
venivano effettuate presso i templi connessi con Cibele, come quello di
Bellona accanto al Teatro Marcello; percorso il Campo Marzio, la
processione probabilmente terminava al pons Neronis.
Prima ha affermato che il Frigiano era il luogo del taurobolio. Che
tipo di rito è il taurobolio? Come cambiò nel corso del tempo?
Nell'iscrizione di Lione proveniente dal locale santuario metroaco si fa
esplicito riferimento al taurobolio come rito pubblico compiuto pro salute
dell’imperatore e della sua famiglia. Da questa iscrizione sappiamo che
a Roma c'era il santuario Vaticano, che era, diciamo così,
specializzato in un particolare atto del rituale frigio, il taurobolium,
che è da ritenere nuovo rispetto alle precedenti modalità di culto, in
quanto non fa parte degli originari riti che accompagnavano il culto
della Magna Mater palatina e di altri santuari del Mediterraneo
nel periodo repubblicano e primo imperiale. L’introduzione del
taurobolio risponde ad una politica di adeguamento del culto “nazionale”
metroaco alle nuove esigenze religiose di carattere sempre più esotico
ed esoterico che si andavano diffondendo nell’impero e che spiegano il
perché il rito del taurobolio vada man mano perdendo il suo carattere
“statale” di cerimonia prevalentemente sacrificale, destinato alla
figura dell’imperatore, per acquistarne uno maggiormente legato alle
aspirazioni religiose dell’individuo.
Quale messaggio si augura sia arrivato ai visitatori della mostra?
La mostra Magna Mater tra Roma e Zama è un esempio concreto di
diplomazia culturale tra Italia e Tunisia, è il risultato della
cooperazione tra studiosi, istituzioni e restauratori dei due Paesi. Ciò
dimostra che la valorizzazione del patrimonio condiviso può diventare
un efficace strumento di dialogo, ricerca e sviluppo sostenibile. Ecco,
vorrei fosse arrivato questo messaggio.
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